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Economia-Lavoro: Grillo economics


In diverse parti del mondo, quelle meno mature, il modo migliore per arricchirsi non consiste nell’avere idee brillanti da realizzare con una buona dose di impegno e di lavoro, ma nel coltivare legami politici. Riferendoci in particolare al “caso Italia” purtroppo molti manager e politici sono riusciti , negli ultimi decenni, ad aver successo non tanto per le loro capacità ma per la loro abilità di coltivare conoscenze di persone influenti e importanti e spregiudicatezza nel fare per finalità extraeconomiche rispondenti a logiche di potere. Questa forma di clientelismo , che di regola degenera  nella corruzione adottando il principio che “il fine giustifica i mezzi” , è la fine della meritocrazia  e determina la fuga dal Paese dei “migliori” .
Succede poi spesso che grandi imprese, nel momento in cui conquistano un mercato, tendano a combattere la concorrenza cercando di creare una situazione di monopolio. in cui esse oltre al potere economico abbiano anche un peso politico. Se si raggiunge tale obiettivo sarà facile poi avere situazioni in cui i manager, non minacciati dalla concorrenza, potranno ricevere profitti sempre maggiori che non sono giustificati da una maggiore produttività. Il principio, per cui  se uno ha maggiori capacità è ricompensato da un maggior profitto, verrà meno e lo stesso sistema capitalistico diverrebbe inefficiente. L’assenza di concorrenza viene subito alla luce con l’aumento dei prezzi e diminuzione della qualità dei prodotti/servizi.
Fortunatamente esiste la globalizzazione , nel senso che quello che appare possibile in Patria è ostacolato dalla concorrenza mondiale e le imprese non valide economicamente , nonostante se appoggiate dal potere politico , entrano in crisi e da qui , se dì importanza nazionale, nascono i salvataggi pubblici.
Con il sistema dei salvataggi pubblici viene innanzitutto meno il principio secondo cui i capitalisti pagano gli errori che commettono. I salvataggi che il governo porta avanti nei confronti di grandi imprese o grandi banche, comporta che i loro errori negli investimenti “tossici” li pagano i contribuenti sotto forma di  nuove imposte. Il principio purtroppo non è però solo italiano . Fannie Mae è un chiaro esempio americano. Inoltre, chi al governo aiutava queste grandi banche a evitare il loro fallimento, una volta usciti dal loro compito politico, gli erano offerte allettanti proposte di entrare a far parte delle stesse banche salvate. Un chiaro esempio è Rubin, che dopo essere stato al governo con Clinton e aver salvato innumerevoli banche, si ritrovò, finito il compito politico, ad essere consigliere amministratore di Citigroup ricevendo la modica somma di 126 milioni di dollari in otto anni. In questi otto anni, fu notevole la sua influenza politica anche quando lavorò in Citigroup per cui il governo spesso portò avanti proposte per l’interesse della banca.

Mi riferisco infine ad un dibattito in cui una persona sosteneva che gli dava fastidio che le imprese venissero create solo per un motivo egoistico, ovvero per guadagnare.  E’ certamente una affermazione “etica” condivisibile ma ideale ed irrealizzabile se non derivante semplicemente da “invidia sociale” . Chi parla così non sa l’inferno che deve affrontare che si mette per necessità o vocazione  a fare l’imprenditore . Cantava Morandi “ uno su mille ce la fa!” C’è poi da rispondere “ fallo anche tu , provaci” o , se proprio ci credi e non è solo una affermazione da “invidia sociale” , fai il prete! Il fatto è che neppure i preti fanno impresa per fini sociali (vedi lo IOR , la Banca Vaticana) .
Stando con i piedi per terra ,diciamo che nel crearsi un proprio reddito ( che non è fisso e dipende da come la propria impresa è capace ad affrontare la concorrenza del mercato e la burocrazia dei servizi , ossessiva in Italia in particolare) l’imprenditore crea ricchezza anche per la collettività (servizi , qualità della vita e  posti di lavoro).
La suddetta frase ha poi un significato quasi nullo in Italia , dove la ricchezza creata da un’impresa viene corrisposta al fisco per 2/3 circa e per 1/3 circa resta all’imprenditore . I citati 2/3 derivano dal calcolo partendo dal  livello di tassazione ufficiale , che è quasi al 50%, aumentato da oneri di ogni tipo (compresa la mancanza di deducibilità dal reddito di diversi costi d’impresa) che gravano sull’imprenditore e sono nascosti (visibili solo agli esperti) e conteggiati a parte . In parole povere l’imprenditore , oltre a dover avere delle capacità particolarmente elevate e forza fisica oltre il normale , deve investire i propri soldi e se l’impresa va male,  li perde lui e se guadagna li deve dare per 2/3 allo Stato che gli dà servizi scadentissimi e lo ossessiona con una burocrazia asfissiante.
Da qui nasce il problema della crescita compressa dalla tassazione eccessiva e dal fatto che nessuno vuole più investire in Italia .A parte la Fiat qui c’è un fuggi fuggi all’estero  che nessun muro di Berlino potrà fermare se non cambia il “sistema Italia” .
L’evasione fiscale ? Non si combatte con uno Stato di polizia o una “caccia alle streghe” ma solo diminuendo la pressione fiscale e dando esempi di “buongoverno” , nel senso di dimostrare che le tasse giuste ( 1/3 effettivo del reddito al massimo ) servono per pagare efficienti servizi ai cittadini e alle imprese e non a fini personali di chi sta al potere.
Questa è l’Italia giusta e non quella dei “Brontosauri” che si sentono “lepri” da raggiungere o “giaguari” che sono solo animali sotto il tiro del “cacciatore” Grillo.

 

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